GLI ANTICHI MACERI DI MOLINELLA
Una nota di Daniele Artioli
Noi tutti li chiamiamo maceri (masadùr) ovvero invasi artificiali di limitate dimensioni, tipicamente rettangolari, nelle cui acque veniva a suo tempo affondata la canapa, dopo la raccolta, appunto a “macerare”nel suo processo di trasformazione.
Al di là di quella che è stata la cultura storica e l’importanza della coltivazione della canapa che può essere trattata in altra sede, vorrei sottolineare come essa ha indirettamente trasformato l’aspetto del territorio, rendendolo unico e tipico, in quanto il macero, essendo indispensabile, si diffuse in modo capillare praticamente in ogni proprietà agricola, magari appresso al caseggiato rurale o in zona idonea a fare defluire le sue acque nella manutenzione annuale di riciclo e pulizia. La coltivazione della canapa all’apice verso la metà del 1800 si è estinta in un lasso di tempo fulmineo se rapportato al periodo da quando fu introdotta, infatti già dopo la seconda guerra mondiale con l’arrivo delle fibre sintetiche non se ne ha più traccia, i nostri maceri sono stati svuotati e colmati per dare spazio a nuovo terreno agricolo, così pochi ne sono rimasti.
Il vuoto lasciato dalla canapa come coltivazione principe del territorio verrà subito colmato dalla barbabietola da zucchero, anche se con un intervallo temporale molto più ristretto, praticamente corrispondente con la chiusura del nostro zuccherificio, infatti quel po’ che rimane oggi di questa coltura ha i giorni contati. Da una mia stima empirica sul nostro territorio comunale è rimasta la presenza di 44 maceri storici alcuni ancora ben conservati, altri lasciati al proprio destino, taluni con il relativo caseggiato diroccato. Se a suo tempo la fauna di questi specchi d’acqua era dominato dalla rana verde dei fossi, anche questa ad oggi si è estinta, così come il carassio rosso, il pesce gatto nostrano, la tinca , la tartaruga palustre europea per citare le specie più note, anche se tutto questo dovuto a mutamenti indipendenti dal fattore macero. Facendo un giro nella nostra campagna o a ridosso di qualche strada ci possiamo imbattere in questi maceri sopravvissuti di fronte ai cambiamenti sociali, quasi in disparte, talvolta modificati nel loro aspetto originario, spesso d’impiccio, indifferenti: sono in grado però di lanciarci un messaggio importante, una storica testimonianza di una cultura agricola del recente passato e una doverosa riflessione sul significato del termine “fatica da lavoro”.