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La Cassa di Colmata di Idice e Quaderna

SCHEDE DI STORIA #10

La Cassa di Colmata di Idice e Quaderna

Testi di Giorgio Golinelli
Cura redazionale di Michele Simone

 

La grave rotta dell’Idice a San Pietro Capo Fiume nel 1802 e quella del Quaderna nel 1804, con gli allagamenti conseguenti,  indussero  le autorità governative napoleoniche a varare interventi  urgenti  per risolvere il problema della sistemazione idraulica della Bassa bolognese a destra del Reno. Per rimediare al disordine idraulico causato dall’Idice nella “bassa bolognese”, con  decreto napoleonico del  30 agosto 1813, veniva decisa la deviazione dell’Idice nelle valli della Boscosa,  Barabana, Durazzo e Marmorta e l’istituzione della Cassa di Colmata dei fiumi Idice e Quaderna. Veniva in sostanza approvato il progetto degli Ingegneri Conti e Landi, risalente al 1762, che prevedeva anche che le acque “chiarificate” immesse nella Colmata dovessero poi confluire nel fiume Reno alla Bastia di Argenta.

I lavori di deviazione dell’Idice, che a quei tempi scorreva verso S. Pietro Capofiume per poi curvare a 90° e sfociare nel Reno (o Po di Primaro) all’altezza del  Morgone, iniziarono alla Roverella (tra Mezzolara e la Riccardina) nel 1814 dal Re di Napoli Maràt e ultimati durante il governo Pontificio a fine settembre 1816  e quindi inaugurati dal Cardinale Legato di Bologna, Lante Della Rovere, il 29 novembre 1816. Seguirono i lavori di creazione della Cassa di Colmata d’Idice e Quaderna allo scopo di innalzare il piano di campagna in quell’area paludosa per poterla bonificare: una vasta area depressa e paludosa che arrivava sino all’argentano nella quale potere scaricare le acque torbide dei torrenti appenninici Idice e Quaderna che, con i loro detriti (fango e sabbia, in particolare)  avrebbero dovuto colmare il dislivello di almeno tre metri nel giro di alcuni decenni.  La cassa di colmata anzidetta avrebbe anche dovuto contenere, con le arginature previste, le acque dell’Idice e del Quaderna in caso di esondazione e/o rottura degli argini ed evitare che raggiungessero le Comunità limitrofe (Molinella, Selva e S. Martino di Sopra e di Sotto in particolare).  Ma non Durazzo, la borgata della “Piazzetta”, Barabana, la dirupata Torre di Cavalli, la Boscosa e dintorni, nonché la parte sud di Marmorta che ricadevano nell’area circoscritta della Cassa di Colmata. In quest’area (perimetrata nella cartina a corredo della presente nota) non si potevano ovviamente più costruire case, stalle e fienili, ne impiantare nuove coltivazioni agricole e quelle che c’erano erano destinata prima o poi a soccombere a causa dell’innalzamento lento ma inesorabile del piano di campagna generato dalle acque torbide dei due torrenti. Con quest’opera, e con il cavo napoleonico, a differenza dell’”ancien regime”, i nuovi governanti napoleonici affermarono per la prima volta, e con giusta ragione, l’interesse pubblico per le opere idrauliche sui fiumi e torrenti arginati e l’assunzione in tutto o in parte delle relative spese da parte dello Stato.

RIALZATO DI CIRCA TRE METRI IL PIANO DI CAMPAGNA

La progettata Cassa di Colmata dell’Idice e Quaderna aveva un’estensione di oltre 6.000 ettari: 6406  per l’esattezza a lavori ultimati. Tra il 1817 e il 1819 furono stabilite le discipline da osservarsi entro la Cassa di Colmata per la distribuzione delle torbide. Le prime bonifiche “regolate” avvennero nelle Valli Boscosa e Barabana e, a seguire le altre (comprese quella delle valli Durazzo e Marmorta) ma senza regole, almeno nei primi tempi. E questo determinò, come si vedrà più avanti, grossi problemi per i proprietari immobiliari e la popolazione dell’antica contea dei Pepoli.  Nell’area circoscritta e arginata, infatti, non si potevano più costruire case, stalle, fienili et similia e gran parte degli edifici esistenti, compresa l’imponente Villa dei Pepoli, erano destinati a soccombere. Nelle zone più asciutte della Cassa si potevano coltivare foraggi e cereali, mentre le zone umide furono trasformate in risaie. Verso la metà dell’800, grazie ai depositi portati dalle torbide dei torrenti Idice e Quaderna, il terreno s’era innalzato mediamente di circa tre metri e aveva inghiottito gli edifici colonici, la villa dei Pepoli e la Chiesa dei SS.Filippo e Giacomo  (ma non il campanile) nel frattempo crollati a causa dei frequenti allagamenti.  La bonifica per Colmata in seguito portò benefici. Sorse infatti una fiorente agricoltura. La Cassa d’Idice e Quaderna era provveduta di scolo mediante tre chiaviche emissarie (“Saiarino”, “Punta”  e “Due luci”) che scaricavano in Reno e nel Sillaro.

SACRIFICATA LA COMUNITA’ DI DURAZZO

Con la realizzazione della Cassa di Colmata d’Idice e Quaderna Iniziò praticamente il declino dell’antica Comunità di Durazzo, che fu per secoli Contea dei Signori Pepoli. Già nel 1814, a lavori già iniziati, l’Idice tracimò allargando la parte sud di Durazzo. Nel maggio-giugno 1815 seguì un nuovo allagamento a causa delle intense precipitazioni. Ma il colpo mortale arrivò nel 1821 con la disastrosa rotta dell’Idice nei pressi di Durazzo che allagò la Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, la sontuosa Villa dei Pepoli e tutte le case coloniche, infierendo duramente sull’economia della comunità (coltivazioni agricole distrutte, strade ricoperte dalla melma, danni ai cascinali ecc.). Nel 1823, a causa delle precarie condizioni strutturali della Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo di Durazzo, il parroco di Durazzo, Don Francesco Way, decise di non officiarvi più le funzioni religiose. Per qualche anno la messa sarà tenuta presso l’oratorio della Chiavica Pepoli, intitolato alla Madonna del Rosario, posta più a est in posizione più altolocata.  Poi le “anime” sempre più ridotte di questa Comunità (che erano 240 nel 1807 per poi scendere a 110 nel 1829) saranno prese in carico dalla Chiesa di San Martino in Argine. Anche il cimitero di Durazzo subì danni irrimediabili e venne chiuso nel 1823. A partire da questa data i defunti della Parrocchia di Durazzo furono sepolti nel Cimitero di San Martino. Ma le disgrazie continuarono. Nel 1824 un’altra disastrosa rotta dell’Idice investì nuovamente Durazzo che finì nuovamente sott’acqua. Questa rotta, anche per l’inerzia del governo pontificio, resterà aperta per ben 10 anni prima d’essere riparata. Il 18 agosto 1828, infine, a seguito dei primi parziali crolli, la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo venne definitivamente chiusa al culto e abbandonata a se stessa per poi crollare gradualmente. Resterà in piedi solo il solitario campanile che oggi vediamo, interrato di circa 3 metri a causa di tutti i depositi alluvionali. Il 16 dicembre 1839 si aprì inoltre un grave squarcio sull’argine dell’Idice, nei pressi della Chiavica Grilla, e Durazzo venne completamente sommersa. Una nuova rotta, a sinistra dell’Idice, presso la Grilla.  si verificherà nel 1842 allagando ancora una volta Durazzo che non si riprenderà e non risorgerà mai più come prima, anche perché abbandonata dalla stessa famiglia Pepoli che per secoli ne aveva retto le sorti. Tale rotta rimase aperta per ben dieci anni. Ci furono vibranti proteste e invocazioni dei proprietari terrieri per questa nuova alluvione che il Legato Pontificio di Bologna però non raccolse. I proprietari furono però indennizzati con un compenso però ritenuto da loro inadeguato.

Il tutto in estrema sintesi. Ci sarebbe molto da scrivere su altri lavori di arginatura e canalizzazione eseguiti in tempi successivi nella Cassa di Colmata, sulle alluvioni del febbraio-aprile 1902, dell’inverno 1910-1911, del 30 aprile 1912, del 1917, del maggio 1939, del 26-27 ottobre 1944 e altre ancora più recenti che invasero la Cassa medesima e anche Molinella e altre frazioni. Ma prima o poi ritorneremo sull’argomento.

 

 

 
L’area della Cassa di Colmata di Idice e Quaderna.

 


Barca nella “Vallazza”

 

 


Capanno nella “Vallazza”.

 


Durazzo. Alluvione del 1912.

 


Durazzo alluvionata nella prima parte dell’800.

 

Scariolanti.

 

Cassa di Colmata con capanno allagato.